Riflessioni

Il dibattito, le opinioni. Un'Enciclica che non lascia indifferenti. 

Una sezione dedicata a riflessioni, commenti e analisi a seguito della pubblicazione dell'Enciclica di Papa Francesco "Fratelli tutti".

Qui sarà possibile trovarne una selezione, tra le principali scaturite dal dibattito che riguarda l'Enciclica. 

Il contenuto delle riflessioni non implica una diretta responsabilità del Dicastero che le mette a disposizione dii lettori e lettrici. 

Le riflessioni dei Superiori del Dicastero

Card. Peter K. A. Turkson, Prefetto

Fratelli e sorelle: dallo stesso grembo materno

Card. Peter K. A. Turkson, Prefetto

Quando ero un giovane ragazzo, crescendo e studiando le lingue classiche, ho imparato che, in greco, le parole per fratello e sorella significavano, etimologicamente, "dallo stesso grembo (a-delphos/a-delphē)".

Questa espressione mi è rimasta impressa e mi ha aiutato a capire diverse situazioni incredibili della vita. Infatti, se i fratelli e le sorelle sono uniti dal fatto di provenire dallo stesso grembo materno, allora sono uniti nella dignità, uniti nell'onore, uniti nei diritti, pur mantenendo le differenze di atteggiamenti e di abitudini; e il resto dell'umanità è così costituito – prodotti dal grembo materno, fratelli e sorelle tutti noi! 

Siamo tutti, almeno biblicamente, considerati della stessa origine, dello stesso padre. Ma io vengo dall'Africa, e molti vengono dall'Europa e molti dalla Cina, e potete vedere le nostre differenze.

Se siamo così diversi, possiamo ancora dire di essere una cosa sola? Sì, possiamo. Il grembo che ci rende tutti una cosa sola può essere il grembo dei nostri genitori, ma è anche il grembo della madre terra, il pianeta che ci nutre. Siamo uno perché condividiamo un grembo comune di cultura mondiale, che determina ciò che studiamo e a cui prestiamo attenzione e come la nostra vita è guidata. Condividiamo un grembo comune della storia, con tutte le guerre mondiali e tutto ciò che è accaduto che ci ha portato a questo punto.

E, ultimamente, in questi giorni, condividiamo il grembo comune di una minaccia e di una crisi sanitaria comune: la pandemia Covi-19.

Siamo tutti, in tanti modi, dello stesso grembo. Questo, quindi, dovrebbe portare a un senso comune della nostra dignità umana che non lasci nessuno indietro. Ma nella realtà della vita, alcuni sono lasciati indietro lungo la strada, lasciati indietro nella cultura, lasciati indietro nello sviluppo, lasciati indietro nei redditi, lasciati indietro nell'istruzione. Ogni tipo di esperienza ci separa e ci rende disuguali, subendo vari tipi di "deficit di dignità umana". Quindi, consideriamo questa pandemia un campanello d'allarme.

Andiamo a cercare i nostri fratelli e le nostre sorelle la cui umanità e dignità sono offuscate e ridotte a un tremolio dalla schiavitù moderna e dal traffico di esseri umani. Andiamo a cercare i nostri fratelli che vengono scartati e lasciati indietro. Andiamo a cercare le nostre sorelle abbandonate lungo la strada.

Andiamo a cercare gli uomini e le donne la cui assenza ci fa sentire meno integri e meno sani, e riunirli tutti insieme, e rendere reale l'unità e la salute della famiglia umana della creazione di Dio. 

 

Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che

amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 

29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche

predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli

sia il primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinato, li

ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati;

quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati. (Rom.8:28-29).

 

Mons. Bruno Marie Duffé, Segretario

La fraternità: una fonte di ispirazione e di rinnovamento per la democrazia e per la pace

Mons. Bruno Marie Duffé, Segretario

La figura altamente simbolica del "Buon Samaritano", che si prende cura dell'uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada, offre alla riflessione di Papa Francesco sulla fraternità un riferimento essenziale per pensare alle relazioni fraterne e alla vita politica. La seconda parte dell'enciclica "Fratelli tutti" (soprattutto i capitoli 5 e 6), infatti, dà alla politica un posto decisivo.

Si tratta di evitare che la fraternità si limiti al campo delle relazioni interpersonali. La politica è il luogo dell'incontro, del dialogo e della responsabilità condivisa. È la definizione stessa di democrazia: uno spazio in cui tutti possono esprimersi e partecipare al processo decisionale, per il bene comune e la giustizia.

La democrazia, come progetto e come pratica politica, è la visione di quel mondo "aperto" (cfr. capitolo 3 dell'Enciclica) che va oltre il mondo "chiuso" dei soli interessi individualistici e considera l'altro, con le sue ricchezze e debolezze.

"C'è (anche) un aspetto dell'apertura universale dell'amore che non è geografico ma esistenziale: è la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di raggiungere coloro che non considero spontaneamente come parte del mio centro di interessi, anche se mi sono vicini. Inoltre, ogni sorella o fratello che soffre, abbandonato o ignorato dalla mia società, è uno straniero esistenziale, anche se è originario del Paese" (Fratelli tutti, Francesco, 2020, n.97).

Lo spazio democratico è il "luogo aperto" dove l'incontro è reso possibile, dove le parole possono essere pronunciate e scambiate senza paura, dove i diritti umani e i doveri reciproci sono onorati e attualizzati.

L' "amicizia sociale", che è l'altro nome della fraternità, l’attenzione e la benevolenza e la ricerca della relazione giusta, non è un atteggiamento debole ma una forte posizione morale, che rifiuta di disprezzare l'altro - il più debole in particolare - e che apre alla costruzione della "corresponsabilità".

"Una politica migliore, posta al servizio del vero bene comune, è necessaria per permettere lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità tra popoli e nazioni che vivono in amicizia sociale" (Fratelli tutti, n. 154).

Questa reciproca ospitalità, propria dell'amicizia, ci rende sensibili alla parola dell'altro, al rispetto delle nostre promesse e al bisogno di perdono, che permette di non confinare l'altro - individuo, persona o comunità - a un'immagine tendenziosa o monca. L'ospitalità, vissuta come reciprocità, fa luce sui nostri progetti di cooperazione internazionale e sulle sfide della solidarietà con migranti e rifugiati, spezzati dalla guerra e dalla violenza. A questo proposito, bisogna diffidare dei populismi che si appropriano e talvolta confiscano la speranza popolare, al fine di cercare il potere. La riflessione sull'appartenenza alla comunità non può chiudersi in un comunitarismo settario ed esclusivo. Al contrario, deve magnificare la ricchezza della pluralità sociale e la possibilità del pluralismo, che mette in gioco la diversità degli approcci e delle interpretazioni.

Soprattutto il bene comune, che richiede il felice dispiegamento di talenti per il bene della comunità, deve essere visto come la condizione e l'orizzonte della pace. Cercare la pace significa prendersi cura dei nostri legami, dei diritti umani che salvaguardano la dignità delle persone, la nostra memoria e la nostra speranza.

"Essere parte di un popolo significa far parte di un'identità comune, fatta di legami sociali e culturali. E non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile... verso un progetto comune" (Fratelli tutti, n. 158: Estratto da una citazione di Antonio Spadaro, Las huellas de un pastor. Una conversación con el Papa Francisco, in: Jorge Maria Bergoglio - Papa Francisco, En tus ojos esta mi palabra. Homilías y discursos de Buenos Aires (1999-2013), Publicaciones Claretianas, Madrid (2017), pp.24-25).

Parlare di tempo e di "processo lento", di fraternità e di vita politica, significa iscriversi in un cammino morale che non si accontenta mai dello stato attuale del mondo. Si tratta di una profonda trasformazione delle persone e delle istituzioni. L'uno non può evolvere senza l'altro. Così la pace deve essere presentata come obiettivo della "buona politica" (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2019), ma anche come espressione della carità compiuta.

"La vera carità è capace di integrare tutto questo [privacy, legalità, benessere minimo, commercio, giustizia sociale, cittadinanza politica] nel suo svolgimento e deve manifestarsi nell'incontro interpersonale; è anche capace di raggiungere un fratello e una sorella lontani, anche ignorati, attraverso le varie risorse che le istituzioni di una società organizzata, libera e creativa sono in grado di creare" (Fratelli tutti, n. 165).

La carità, quindi, non può essere ridotta al semplice rapporto di aiuto e assistenza. È giustizia, speranza e amore in azione. Questo, è facile da capire, riguarda realtà locali e regionali, nazionali, internazionali e comunità mondiali. Siamo tutti di un unico mondo e di un unico villaggio. In entrambe le dimensioni (globale e locale) sono in gioco la considerazione reciproca e il futuro della pace.

"Ogni impegno in questo senso diventa un supremo esercizio di carità. Infatti, un individuo può aiutare una persona in difficoltà, ma quando si unisce ad altri per creare processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra "nel campo della più grande carità, la carità politica" (Pio XI, Discorso alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana (18 dicembre 1927): L'Osservatore Romano, 23 dicembre 1927) p.3)" (Fratelli tutti, n.180).

 

Mons. Segundo Tejado Muñoz, Sotto-Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

“Caritas” in Fratelli tutti

Mons. Segundo Tejado Muñoz, Sotto-Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

Nell’Enciclica Fratelli tutti, quando Papa Francesco si sofferma sul concetto di “carità”, parte dall’aspetto più intimo e profondo dell’amore, nel cuore della Chiesa stessa. Le prime comunità cristiane conoscevano bene il significato della parola carità. San Paolo, di fronte al pericolo che la Chiesa cedesse alla tentazione di chiudersi in se stessa e di isolarsi, la esorta piuttosto ad amare con larghezza, sovrabbondando di amore "fra voi e verso tutti" (1 Tess 3,12). Anche San Giovanni fa lo stesso (Fratelli tutti, 62). Questo fa eco al richiamo insistente di Francesco, nell'Evangelii Gaudium 23, “L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria»". E anche, “La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (EG, 24).  In Francesco la carità è molto più del sentimento che muove una persona a fare l’elemosina. E’ invece una forza che irradia l’amore stesso di Dio.

La carità rende possibile alle virtù e alle abitudini delle persone di costruire una vita in comune (FT, 91). La sostenibilità, quindi, dipende dalla carità. E Francesco ci esorta a ricordare l'importanza della dimensione sociale dell'evangelizzazione: "La sua redenzione ha un significato sociale perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini» (EG, 178). Il Vangelo rivela “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (EG, 178), e “l’indissolubile legame” (EG, 179) tra l’accettare l’amore salvifico di Dio e il nostro amore verso coloro che ci circondano.

L’amore, reso possibile dalla grazia di Dio, ispira il nostro movimento al di fuori di noi stessi, sull’altro e verso gli altri (FT, 93); e cita S. Tommaso d’Aquino sottolineando che quello che sta dietro la parola “carità” viene dall’amore per cui a uno è gradita una data persona (grata) e quindi deriva il piacere di riversare una parte di quell’amore e quelle gratificazioni verso di essa (gratis). Ma la carità non rimane a livello individuale. Essa si apre necessariamente alla dimensione sociale, e “implica un cammino efficace di trasformazione della storia che esige di incorporare tutto: le istituzioni, il diritto, la tecnica, l’esperienza, gli apporti professionali, l’analisi scientifica, i procedimenti amministrativi, e così via” (FT, 164). La vera carità racchiude in sé tutti questi elementi di attenzione nei confronti dell’altro. Anche il Buon Samaritano ha avuto bisogno di una locanda per potersi prendere cura dell’uomo ferito. La carità deve poter disporre di tutte le risorse disponibili, incluse quelle che provengono dalla società. (FT, 165). Risulta evidente che è necessario far crescere una maggiore “spiritualità della fraternità” ma, allo stesso tempo, che “non c’è una sola via d’uscita possibile, un’unica metodologia accettabile, una ricetta economica che possa essere applicata ugualmente per tutti” (FT, 165). Ciò richiama la Laudato si’: “oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (LS, 49).

Questo porta una visione più ampia anche della vita politica. Francesco scrive: “abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi” (LS, 107 & FT, 177). Soffermandosi sull’importanza di una vita politica lungimirante, Francesco chiama a un tipo di amore che viene ispirato da Dio nel cuore della comunità cristiana, e che può quindi muoversi verso l’altro che si trova all’esterno. Nella LS, Francesco presenta 4 esempi negativi, in cui una visione politica miope distrugge i vincoli della carità che Dio desidera vengano stabiliti tra noi. Il falso presupposto circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite, senza conseguenze (LS, 106); la “cultura dello scarto”, che considera come irrilevante tutto ciò che non serve agli interessi personali (LS, 122); le economie di scala che dominano il mercato e che conducono allo sfruttamento dei lavoratori (LS, 129); e le nuove biotecnologie che manipolano in maniera indiscriminata il materiale genetico (LS, 131-136). L’unica forza capace di invertire questa rotta è la carità, e Dio è l’unico così potente da contrastare questa stessa rotta. La Chiesa esiste per manifestare al mondo la presenza di Dio e la carità di Dio. 

Dice Francesco: “La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti” (FT, 183). La carità va oltre un sentimentalismo personale irrilevante, dice riferendosi alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI, in cui si afferma che la relazione intima tra carità e verità produce quella universalità capace di superare il relativismo ed edificare la comunità (FT, 184; cf. CV, 2-4). In tal modo, arriviamo a comprendere la realtà concreta e la dimensione universale della carità come spinta di propulsione dello sviluppo.

Francesco pone l’attenzione su dimensioni della carità spesso tralasciate. E’ un atto di carità aiutare una persona povera e sofferente, ma lo è altrettanto aiutare a modificare le condizioni sociali alla base di quella sofferenza (FT, 186). Quest’ultimo aspetto della carità è al cuore dello spirito della politica, ed esprime un amore preferenziale per gli ultimi. “Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società. Tale sguardo è il nucleo dell’autentico spirito della politica” (FT, 187). 

Per concludere, l’affermazione teologica di Giovanni, “Dio è amore” (1 Gv 4,8), ha una implicazione diretta e complementare sia per la persona redenta da Cristo, che per l’identità della Chiesa come Sposa di Cristo. La carità è il cuore dell’identità della Chiesa, e possiede la chiave dello sviluppo umano integrale. Lo stesso fine della religione è quello di diffondere nel mondo “i valori del bene, della carità e della pace” (FT, 285), e questo si ottiene tramite la carità.

 

Le riflessioni dei Superiori della Sezione Migranti e Rifugiati

Card. Michael Czerny S.J. Sotto-Segretario - Migranti e Rifugiati

Fratelli tutti: uno sguardo introduttivo

Card. Michael Czerny S.J. Sotto-Segretario - Migranti e Rifugiati

Le ombre di un mondo chiuso (cap. 1) si diffondono sul creato, lasciando i feriti sul ciglio della strada, ed essi vengono messi fuori, scartati. Le ombre immergono l'umanità nella confusione, nella solitudine e nel vuoto. Troviamo uno sconosciuto sulla strada (cap. 2), ferito. Di fronte a questa realtà ci sono due atteggiamenti: andare avanti o fermarsi; includerlo o escluderlo definirà il tipo di persona o di progetto politico, sociale e religioso che siamo.

Dio è l'amore universale, e finché siamo parte di quell'amore e lo condividiamo, siamo chiamati alla fratellanza universale, che è l'apertura. Non ci sono "altri" o "loro", ci siamo solo "noi". Vogliamo con Dio e in Dio pensare e creare un mondo aperto (capitolo 3) senza muri, senza frontiere, senza esclusi, senza estranei. Per questo abbiamo e vogliamo un cuore aperto al mondo intero (Cap. 4). Viviamo un'amicizia sociale, cerchiamo un bene morale, un'etica sociale perché sappiamo di far parte di una fraternità universale. Siamo chiamati all'incontro, alla solidarietà e alla gratuità.

Per un mondo aperto e con il cuore aperto, bisogna fare la migliore politica (cap. 5). Politica per il bene comune e universale, politica per e con la gente, cioè popolare, con la carità sociale che cerca la dignità umana e viene portata avanti da uomini e donne con amore politico che integrano l'economia in un progetto sociale, culturale e popolare.

Saper dialogare è la via per aprire il mondo e costruire l'amicizia sociale (capitolo 6); è la base per una politica migliore. Il dialogo rispetta, consolida e cerca la verità; il dialogo fa nascere la cultura dell'incontro, cioè l'incontro diventa uno stile di vita, una passione e un desiderio. Chi dialoga è gentile, riconosce e rispetta l'altro.

Ma non basta: dobbiamo affrontare la realtà delle ferite del disaccordo e stabilire e percorrere, al loro posto, strade di ricongiungimento (Capitolo 7). Dobbiamo guarire le ferite e ristabilire la pace; dobbiamo essere audaci e partire dalla verità, dal riconoscimento della verità storica, che è compagna inseparabile della giustizia e della misericordia, e che è indispensabile per il cammino verso il perdono e la pace. Perdonare non significa dimenticare; il conflitto sulla strada della pace è inevitabile, ma ciò non significa che la violenza sia accettabile. Ecco perché la guerra è una risorsa inaccettabile e la pena di morte una pratica da sradicare.

Le diverse religioni del mondo riconoscono l'essere umano come creatura di Dio, come creature in un rapporto di fratellanza. Le religioni sono chiamate al servizio della fraternità nel mondo (capitolo 8). Dalla nostra apertura al Padre di tutti, riconosciamo la nostra condizione universale di fratelli. Per i cristiani, la fonte della dignità umana e della fraternità è nel Vangelo di Gesù Cristo: da lì nascono le nostre azioni e i nostri impegni. Questo cammino di fraternità ha per noi anche una Madre chiamata Maria.

Di fronte ai feriti delle ombre di un mondo chiuso, che giacciono sul ciglio della strada, Papa Francesco ci chiama a fare nostro e ad operare il desiderio mondiale di fraternità, che parte dal riconoscimento che siamo Fratelli tutti, tutti fratelli e sorelle. 

Altre riflessioni Card. Michael Czerny S.J.

P. Fabio Baggio C.S . Sotto-Segretario - Migrati e Rifugiati

“Fratelli Tutti”: alcuni spunti per la pastorale migratoria

P. Fabio Baggio C.S . Sotto-Segretario - Migrati e Rifugiati

La lettera enciclica “Fratelli tutti” (FT) è dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale, che il Santo Padre annovera tra le sue preoccupazioni costanti. Lo stretto legame di questi temi con le questioni relative a migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta è evidenziato sin dalle parole introduttive del documento, che spiegano come Papa Francesco abbia voluto ispirarsi all’esempio del Poverello di Assisi. San Francesco, infatti, si era ripromesso di camminare “accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi” (FT, 2), tra i quali, come chiarisce lo stesso Pontefice nei punti successivi, vanno annoverati i soggetti più vulnerabili della mobilità umana. Francesco di Assisi, inoltre, ha dimostrato un “cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione” (Ft, 3), aperto agli stranieri.

Sempre nella porzione introduttiva, Papa Francesco sottolinea come la condizione di itineranza in questo mondo caratterizzi tutti gli esseri umani, che sono “viandanti fatti della stessa carne umana” (Ft, 8), che possono sognare insieme. Ma questa meravigliosa potenzialità è oggi osteggiata da una “cultura dei muri” (FT, 27), che impedisce, anche fisicamente, l’incontro con le persone di cultura diversa.

Osservando le frontiere del mondo contemporaneo, si registrano, purtroppo, molte violazioni sistematiche della dignità umana, causate da volontà politiche ed economiche avverse ai migranti e alla cooperazione internazionale (FT, 37). Spesso i migranti, ingannati dalle illusioni della cultura occidentale, diventano vittime dalle speculazioni dei trafficanti. La loro partenza impoverisce ancor più il loro paese di origine, che sovente non ha saputo garantire loro il diritto a non dover emigrare (FT, 38). Nei paesi di arrivo cresce la strumentalizzazione politica della paura dell’altro e si ripresentano quei disdicevoli episodi di razzismo e xenofobia che sembravano storia passata (FT, 39).

Il Santo Padre è convinto che le migrazioni costituiscano un elemento fondamentale del futuro dell’umanità e parimenti una chiara opportunità di rimettere al centro la persona umana (FT, 40). La paura dell’altro, pur naturale e istintiva, non deve pregiudicare la capacità di incontro che ci fa crescere come persone (FT, 41). “Allargare il cuore allo straniero” diventa, allora, un imperativo per la crescita di tutti. La Sacra Scrittura è ricca di citazioni bibliche in questo senso (FT, 61). Ma lo è altrettanto di riferimenti alla tentazione della chiusura nei confronti degli stranieri, degli altri, tentazione che ha caratterizzato la Chiesa sin dai suoi albori (FT, 62).

Secondo Papa Francesco, il corretto atteggiamento del cristiano nei confronti dello straniero - come del resto nei confronti di tutti i “prossimi” vulnerabili - è ben esemplificato nella parabola del Buon Samaritano (FT, 81). L’incontro tra il soccorritore e il bisognoso non lascia spazio a nessuna manipolazione ideologica e spinge entrambi i protagonisti a superare le barriere (FT, 82-83). Il Buon Samaritano dimostra un cuore capace di identificarsi nella sofferenza dell’altro, al di là delle differenze, e di riconoscere Gesù Cristo presente nel prossimo (FT, 84). Si tratta di un riconoscimento che conferisce all’altro una dignità infinita, un vero incontro con Gesù Cristo (FT, 85). Ma si tratta anche di un incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo di appartenenza (FT, 90); è un farsi prossimi che significa andare al di là delle frontiere nazionali e regionali per scoprirsi parte di una comunità di fratelli e di sorelle che si prendono cura gli uni degli altri (FT, 96).

Il Santo Padre ribadisce che l’obiettivo a lungo termine è quello di evitare che le persone debbano emigrare, garantendo il diritto a trovare in patria le condizioni per svilupparsi pienamente. Ma fino a quando questo non sarà assicurato sarà doveroso rispettare il diritto di ciascuno a trovare un luogo dove potersi realizzare pienamente, come persona e come famiglia, mettendo in pratica quattro verbi: accogliere, proteggere, proteggere e integrare (FT, 129). Soprattutto in caso di crisi umanitarie, la solidarietà tra popoli deve tradursi in azioni molto concrete (FT, 130), che garantiscano a tutti gli esseri umani una “piena cittadinanza” in questo mondo (FT, 131). Ma per questo è necessaria una governance globale delle migrazioni, con progetti a medio e lungo termine che vadano oltre l’emergenza (FT, 132).

L’incontro con l’altro, con lo straniero, è arricchente perché è incontro con il diverso, che ancora non conosciamo (FT, 133). Lo è perché l’incontro con la diversità fa crescere le culture e le civiltà (FT, 134). Lo è perché, soprattutto quando caratterizzato dall’accoglienza gratuita e generosa, fa crescere in umanità (FT; 139-141). L’incontro con l’altro non annulla l’identità di chi accoglie, ma la rafforza e la trasforma in un dono (143). I “narcisismi localistici” nascondono insicurezza e timore verso gli altri (FT, 146). Guardando gli altri si comprende meglio se stessi (FT, 147). L’identità e la cultura sono realtà dinamiche che si nutrono dell’incontro con l’altro (FT, 148); la relazione con gli altri è, infatti, costitutivamente necessaria per ottenere una realizzazione umana piena (FT, 150). La famiglia umana viene prima della costituzione dei gruppi nazionali (FT, 149).

L’importanza dell’incontro va considerata anche da una prospettiva geografica regionale, lì dove il rapporto cordiale con il vicino di casa (FT, 151) diventa rapporto di convivialità con il paese vicino (FT, 152), cha aiuta a prendere coscienza dei limiti propri e dell'inevitabile interconnessione con gli altri: nessuna nazione isolata è capace di assicurare il bene comune (FT, 153).

Il Santo Padre non perde neppure questa occasione per condannare la tratta di esseri umani, che dovrebbe essere una delle maggiori preoccupazioni di un governante (FT, 188). Il commercio di schiavi che ha mestamente segnato la storia passata, purtroppo continua ad avvenire (FT, 248).

Dibattiti e incontri online

GCCM-From Laudato Si' to Fratelli Tutti.

CLAR-Fratelli Tutti - Ciclo 1 de WEBINAR

Presentación de la encíclica Fratelli Tutti-Universitat Abat Oliba CEU

UISG-Conversation with Fr. Augusto Zampini regarding "Fratelli tutti"

CLAR-Fratelli Tutti - Ciclo 2 de WEBINAR

FRATELLI TUTTI: lettera enciclica sulla fraternità e l'amicizia sociale

Georgetown University--Human Fraternity and Solidarity

CLAR-Fratelli Tutti - Ciclo 3 de WEBINAR

Presentation of the Russian translation of "Fratelli tutti"

Fratelli Tutti: How the new Encyclical inspires Caritas work

CLAR-Fratelli Tutti - Ciclo 4 de WEBINAR

WUCWO-UMOFC -International Women's Day "Fratelli Tutti"

Altre riflessioni di rilievo

Anna Rowlands, Docente di Catholic Social Thought & Practice all’Università di Durham, nel Regno Unito

Conferenza sulla Lettera Enciclica “Fratelli tutti” del Santo Padre Francesco

Anna Rowlands, Docente di Catholic Social Thought & Practice all’Università di Durham, nel Regno Unito

La Lettera enciclica Fratelli tutti parla di amore e di attenzione, quel tipo di attenzione in grado di risanare un mondo ferito e sanguinante. Si tratta di una riflessione sociale sul Buon Samaritano, che riconosce l’amore e l’attenzione come leggi fondamentali e configura per noi un’amicizia sociale creativa.

Papa Francesco ci chiede di osservare il mondo al modo del Samaritano, in maniera tale da riuscire a scorgere l’originario ed indispensabile legame tra tutte le cose e le persone, vicine e lontane. Nella semplicità del suo appello, Fratelli tutti si pone come una sconvolgente sfida al nostro stile di vita ecologico, politico, economico e sociale. Ma è, innanzitutto, la proclamazione di una verità ineliminabile e gioiosa, presentata qui come sorgente benefica per un mondo affaticato.

Questa lettera non rappresenta una critica fredda e distaccata. Piuttosto, la sua disciplina spirituale indica in modo chiaro un compito umanizzante: essere veramente uomini significa mostrarsi disposti a guardare il mondo nella sua bellezza e nel suo dolore, a prestare un profondo ascolto, attraverso l’incontro con l’altro, alle sofferenze e alle gioie della propria epoca e ad assumerle su di sé, facendosene carico come fossero proprie.

L’idea che ogni creatura abbia origine in Dio Padre e che in Cristo siamo divenuti fratelli e sorelle, legati nella dignità, nella cura e nell’amicizia, costituisce uno dei più antichi insegnamenti sociali della Cristianità. Infatti, gli appellativi che ricorrono in questa lettera e che sono a fondamento della riflessione stessa di Francesco, riecheggiano abbondantemente le Scritture: fratelli, sorelle, prossimi, amici. I primi Cristiani plasmarono la loro concezione del denaro, della comunità e della politica su questa visione. Che un tema così antico venga ora riproposto con tale urgenza è dovuto al timore di Papa Francesco che possa creare una frattura dall’idea che siamo realmente responsabili per gli altri, tutti legati tra noi, tutti aventi diritto ad una equa condivisione di quanto è stato dato a beneficio di tutti. Credere tutto ciò non è una fantasia di cui farsi beffe. Il Papa scrive con dolore riguardo al cinismo e all’impoverimento culturale che limitano la nostra immaginazione sociale. Non è un’assurdità riconoscere l’affinità al di là delle divisioni, il desiderare culture in cui i legami sociali siano rispettati e l’incontro e il dialogo praticati.

Fratelli tutti dice esplicitamente come la fratellanza universale e l’amicizia sociale debbano essere esercitate insieme, sebbene non manchi l’incapacità di agire in tal direzione. La globalizzazione proclama valori universali, ma non riesce a praticare incontro e attenzione, specialmente nei confronti della diversità e dei più vulnerabili. La comunicazione digitale specula sul nostro bisogno di contatto, lo distorce, producendo una limitatezza febbrile costruita sui binari dei “like/ dislike”, mercificata da interessi potenti. Il populismo fa appello al desiderio di stabilità, di radicamento e di un lavoro gratificante, ma lascia che l’ostilità distorca questi desideri. Il liberalismo, d’altro canto, concepisce la libertà in termini di individualismo egocentrico e limita le nostre vite intimamente interconnesse. Dimentichiamo cosa consente alle società di perdurare e di rinnovarsi. Sono questi i nostri falsi materialismi.

Questa lettera affonda le sue radici in un preciso incontro interreligioso e mostra senza reticenze il suo carattere religioso e il suo appello. Una verità trascendente non costituisce un fardello, bensì un dono che rende più stabili le radici del nostro comune agire. Può ridurre la preoccupazione che avvertiamo nell’assumerci insieme quei rischi necessari a trasformare il mondo. La fede è la nostra sorgente, è parte di come noi possiamo nominare la realtà e andare oltre la desolante indifferenza della nostra epoca.

Per questa ragione, l’enciclica ha ben chiaro il peso della responsabilità che grava sulle comunità religiose. I gruppi religiosi sono coinvolti dalla stessa cultura digitale e di mercato che ci danneggia. In modo non scusabile, i leader religiosi hanno tardato a condannare le pratiche ingiuste, passate e presenti. Anche le religioni hanno bisogno di pentimento e di rinnovamento. Fratelli tutti le esorta a essere modelli di dialogo, mediatrici di pace e portatrici di un messaggio d’amore trascendente ad un mondo affamato, cinico e senza radici.

Richiamando la Dichiarazione di Abu Dhabi, l’enciclica ribadisce l’assoluta dignità della persona umana, sulla quale nessuna preferenza politica, nessuna “legge” di mercato può avere la precedenza. Qui Papa Francesco evidenzia il trattamento riservato ai migranti. Sottolinea i comandamenti biblici che incitano accogliere lo straniero, i benefici che possono derivare dall’incontro tra culture e l’invito a un amore puro e incondizionato. Sviluppa anche il precedente insegnamento sociale sulla destinazione universale dei beni, chiarendo che le nazioni sono proprietarie della loro terra, ricchezza e patrimonio, fintanto che questo permette a tutta l’umanità l’accesso ai mezzi di sopravvivenza e di realizzazione. Una nazione ha dei doveri non soltanto nei confronti dei suoi cittadini, ma nei confronti di tutta l’umanità. Dignità, solidarietà e destinazione universale dei beni materiali sono i tratti distintivi di questo insegnamento.

Papa Francesco mette in guardia da forme chiuse di populismo, ma sostiene l’importanza di guardare a noi stesso come ad “un popolo”. Seguendo Sant’Agostino, ci ricorda che il divenire “un popolo” si fonda sulla capacità di incontrare l’altro nel dialogo, faccia a faccia e fianco a fianco. Insieme collaboriamo a quell’amore comune e duraturo del quale desideriamo vivere. Si tratta di un processo dinamico e mai compiuto di costruzione della pace sociale, frutto di una genuina ricerca e scambio di verità. Una cultura è sana soltanto nella misura in cui rimane aperta alle altre. Questo rinnovamento delle culture politiche avviene solo con, non per, i più emarginati. Il ruolo dei movimenti popolari è la chiave di questa partecipazione.

Chiamare Dio con il nome di “Padre” e noi stessi come suoi “figli e amici”, è linguaggio d’amore. Esistono altri modi di chiamare Dio. Ma il messaggio che Papa Francesco desidera che al momento ciascuno recepisca è che siamo resi pienamente umani solo da ciò che ci spinge al di là di noi stessi. Ciò che rende questo possibile è un amore divino aperto a tutti, che genera, unisce, perdura e si rinnova senza fine. Questo amore non può essere cancellato né rimosso, e si pone a fondamento dell’appello che Papa Francesco rivolge a noi, facendo proprie le parole di amorevole attenzione di san Francesco: “Fratelli tutti”…

Charo Castelló, referente del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani

Fratelli tutti: desiderio di fraternità, solidarietà e giustizia sociale

Charo Castelló, referente del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani

 

“Fratelli tutti” apre cammini per provare a rendere reale l’utopia di una grande famiglia umana che Francesco e tante persone dei movimenti popolari sognano di realizzare, e risuona nella vita dei credenti e dei non credenti, che passano la loro vita nella lotta per la dignità.

Incoraggia coloro che chiedono un lavoro dignitoso; la terra, di cui assumersi la responsabilità, in modo che nessuno soffra la fame; e un tetto sopra le loro teste per dare rifugio a tutta l'umanità. Un appello ai movimenti popolari perché continuino a sognare, a camminare e a costruire: "è possibile desiderare un pianeta che garantisca terra, tetto e lavoro a tutti".

Propone un'utopia realizzabile, dove le questioni sociali, politiche ed economiche sono legate all'amore, come da tempo si è sottolineato da parte dei movimenti popolari. La carità, se non è anche politica, non è carità. Non si tratta solo di dare cibo, ma di lavorare per trasformare le strutture che impediscono alle persone di procurarsi il cibo da sole.

È un appello urgente di fronte all'autodistruzione e alla disumanizzazione. Le risorse naturali e gli ecosistemi si stanno esaurendo, la dignità del lavoro viene calpestata e i diritti dei lavoratori vengono violati, non di rado, per il bene di un sistema economico votato all’incenerimento.

È un'opportunità per sostenere la speranza nell'incontro e nel riconoscimento, come aspirazione più profonda che ci permette di fraternizzare tra di noi.

È la continuità del magistero della Chiesa: senza affrontare la questione sociale non è possibile aspirare alla fraternità. "La questione sociale è diventata radicalmente una questione antropologica", ha detto Benedetto XVI (CV, 75). Ora Francesco amplia e concretizza: "Di fronte alle forme diverse e attuali di eliminare o ignorare gli altri, possiamo reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale".

Non è un sogno, ma la capacità di immaginare una realtà nuova e diversa, il primo passo per camminare verso di essa; è un appello ad agire in coerenza con il nostro essere e la nostra vocazione. È un invito a mettersi in gioco e a metterlo in pratica, in dialogo con persone di buona volontà. Propone una nuova logica per la nostra vita e organizzazione sociale: l'amicizia sociale: "Sogniamo come un'unica umanità", come camminatori della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ci ospita tutti, ognuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ognuno con la propria voce, tutti fratelli".

La civiltà samaritana

Di fronte alle ombre di un mondo chiuso, che scarta tante persone, il Papa ci invita alla speranza e alla responsabilità, sulla base della parabola del Buon Samaritano, paradigma della necessità di una cultura della cura l'uno per l'altro, e non dell'indifferenza.

Abbiamo una grande opportunità per ricominciare da capo, dalla fraternità essenziale, che ci invita ad essere parte attiva nella riabilitazione e nella guarigione delle società ferite. "Non è possibile vivere indifferenti di fronte al dolore; non possiamo lasciare nessuno ai margini della vita. Questo dovrebbe indignarci, fino al punto di farci “scendere” dalla nostra serenità per essere sconvolti dalla sofferenza umana. Questa è dignità”.

Chiede costantemente di "pensare e agire" un mondo, "gestito" dall'amore universale, dall'apertura a tutte le persone, senza confini che neghino dignità e diritti fondamentali. Afferma che "ogni essere umano ha il diritto di vivere con dignità e di svilupparsi integralmente, e questo diritto fondamentale non può essere negato da nessun paese. Ce l'ha anche se è inefficiente, anche se è nato o cresciuto con limitazioni. Perché questo non pregiudica la sua immensa dignità di persona umana, che non si basa sulle circostanze, ma sul valore del suo essere". In coerenza, la solidarietà acquista una maggiore profondità umana: "È pensare e agire in termini di comunità, della priorità della vita di tutti rispetto all'appropriazione dei beni da parte di alcuni".

In questo contesto, Francesco recupera un principio della Dottrina Sociale della Chiesa, cioè l'uso comune dei beni per tutti, come principio di tutto l'ordine etico-sociale. Quando noi movimenti popolari rivendichiamo le “3T” (Tierra, Techo y Trabajo), vogliamo che questo principio sia messo in pratica perché ha enormi conseguenze sulla vita delle persone, sull'acqua, sulla terra, sulla cultura, sul lavoro, ecc. "Il diritto alla proprietà privata può essere considerato solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni, e questo ha conseguenze molto concrete che devono riflettersi nel funzionamento della società".

Senza dimenticare che la solidarietà, "è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, della disuguaglianza, della mancanza di lavoro, della terra e della casa, della negazione dei diritti sociali e del lavoro. E' affrontare gli effetti distruttivi della tirannia del denaro. […] La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare storia ed è quello che fanno i movimenti popolari.

Il grande tema: il lavoro

“Fratelli tutti” dà grande centralità alla carità politica, alla "migliore politica" al servizio del bene comune, che dà sempre priorità alle esigenze dei poveri. Per il Papa possiamo aiutare una persona bisognosa, "ma quando si unisce agli altri per generare processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel "campo della più ampia carità, la carità politica".

Si tratta di muoversi in questa direzione. Ancora una volta chiede la riabilitazione della politica. E sottolinea, nella "buona politica" è di grande importanza la dignità del lavoro e il lavoro dignitoso: "Il grande tema è il lavoro".

"Ciò che è veramente popolare - perché promuove il bene della gente - è far sì che tutte le persone abbiano la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha messo in ognuno di loro, le loro capacità, la loro iniziativa, i loro sforzi (...) Non importa quanto cambino i meccanismi di produzione, la politica non può rinunciare all'obiettivo di assicurare che l'organizzazione di una società garantisca ad ogni persona un qualche modo di contribuire con le sue capacità e i suoi sforzi. Perché non esiste povertà peggiore di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro".

Uscire per incontrarsi

Da uno stile di essere, di pensare e di agire diverso da quello che predomina nell'ambito dei rapporti umani; tra le nazioni; tra le culture; tra le istituzioni..., Egli ci propone di costruire l'umanità: il dialogo e l'amicizia sociale, la vita "come arte dell'incontro", con tutti i popoli, anche con le periferie del mondo, con i popoli originari..., "da tutti si può imparare qualcosa, nessuno è inutile".

Josianne Gauthier, Segretario generale del CIDSE

Fratelli tutti – La politica come un atto di amore e di coraggio

Josianne Gauthier, Segretario generale del CIDSE

“Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità”. (FT.180)

Di solito non si considera la politica come un atto di carità o di amore. La politica è stata spesso ridotta alla sua forma più abietta e associata all'avidità, al dominio, allo sfruttamento e alla corruzione. Eppure, qui, nella sua ultima lettera enciclica, Papa Francesco ci sfida a rivendicare la nobiltà dell'atto politico: assumerci la responsabilità del benessere di tutti, come membri di un'unica famiglia umana.

Questa riflessione sulle nostre responsabilità reciproche è stata condivisa con noi nel mezzo della seconda ondata della pandemia globale. Questo è anche il periodo in cui i cristiani cominciano l'avvento, un tempo di preparazione, di attesa e di vigilanza. Nei giorni più bui dell'anno nell'emisfero nord, la luce del Natale ci aiuta a mantenere l'attenzione e a non fermarci. In una pandemia globale, tra grande incertezza e paura, quando il movimento e il contatto sono limitati, si è tentati di chiudere gli occhi e aspettare che la tempesta passi. Ma non è così che usciremo da questa crisi in un mondo migliore. Fratelli Tutti ci chiama a trovare energia nel nostro amore. Attraverso le tempeste, attraverso la sofferenza, dalla nostra compassione, deve venire la solidarietà e il coraggio di battersi per il bene comune.  

Durante la pandemia di Covid-19, Papa Francesco ha continuato ad approfondire il tema dell'interdipendenza e il rapporto esistente tra i nostri eccessi, il nostro individualismo, il nostro nazionalismo e le sofferenze che vediamo intorno a noi. Fratelli Tutti è un severo promemoria durante la pandemia che nessuno di noi sarà al sicuro se non saremo tutti al sicuro. Solo insieme guariremo questo mondo ferito, solo convertendoci ad una cultura della cura, della responsabilità, dell'ascolto, usciremo più forti da questa crisi. 

Anche la precedente lettera enciclica di Papa Francesco, Laudato Si', parlava di interconnessione e responsabilità. Dimostrava come gli stili di vita occidentali stessero minacciando tutte le forme di vita su questo pianeta, mentre noi continuiamo a superare i confini planetari. Un anno fa, il Papa ha convocato un Sinodo per la regione Pan-Amazzonica per riflettere su come il consumo neocoloniale delle risorse dell'Amazzonia stia demolendo le culture, le specie e le vite umane in questa parte del mondo. In questa casa comune, il potere e le risorse sono distribuite in modo disomogeneo, e ci sono voci che non sono ancora state ascoltate. Al Sinodo per la regione Pan-Amazzonica, il Papa ha invitato la comunità cattolica ad aprirsi alle prospettive e alle conoscenze che i popoli indigeni potrebbero condividere con noi, per preservare il nostro pianeta, la nostra casa, e quindi noi stessi.

In quanto rete di organizzazioni cattoliche di giustizia sociale CIDSE, Fratelli Tutti ci chiama ad essere coraggiosi, a dare un nome alle nuvole che incombono su tutti noi, a riconoscere la nostra responsabilità, anche quando è scomoda. Anche quando siamo stanchi e scoraggiati. Questo è il momento esatto in cui dobbiamo stare insieme e rivolgerci alla nostra fede. Partendo da Laudato Si', da Evangelii Gaudium e dal vasto corpo dell'insegnamento sociale cattolico, nominiamo i sintomi del nostro mondo ferito e come dobbiamo affrontarli. Abbiamo un modello di crescita economica estrattivo e colonialista che produce una cultura del consumo disuguale e la discriminazione, e che infine porta a un estremo degrado ecologico e umano. Ci viene ricordato che trattiamo la terra e come ci trattiamo l’un l’altro. Fratelli Tutti ci esorta a prendere decisioni per il "bene comune universale", avvicinandoci sempre di più alla nostra responsabilità nel modo in cui trattiamo il nostro "prossimo". Una politica sana trasformerebbe la nostra economia in una economia "parte integrante di un programma politico, sociale, culturale e popolare".

Questo decennio ha visto un aumento della sfiducia nelle istituzioni democratiche o multilaterali. Papa Francesco ci sfida a uscire dalla nostra pericolosa tendenza a costruire muri, dall'autoprotezionismo, dal nazionalismo e dall'isolazionismo. Nel parlare dell'importanza di sostenere gli impegni collettivi e multilaterali e di lavorare in cooperazione tra le nazioni ci ricorda: "Ci vogliono coraggio e generosità per stabilire liberamente determinati obiettivi comuni e assicurare l’adempimento in tutto il mondo di alcune norme essenziali" (FT. 174). Invita le istituzioni multilaterali, i politici, i governi, ma anche i singoli individui a formare un nuovo tipo di comunità umana.

Tutte le nuvole possono essere sconfitte solo se le spazziamo via, se troviamo nel nostro cuore la forza di denunciarle e di chiedere un cambiamento politico. Possiamo e dobbiamo agire contro le trasgressioni di cui siamo testimoni. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, ma anche chiedere ai nostri leader politici di agire per il bene comune e nella ricerca della pace.

Papa Francesco ci invita a sperare, perché come dice lui "la speranza è audace" e a lasciarci aprire al mondo che ci circonda, perché è nella ricchezza della nostra diversità e nella moltitudine di voci e idee che costruiremo la pace. Dovremmo assumerci le nostre responsabilità politiche per creare spazio per le voci emarginate che prendono il loro posto, e lasciarci trasformare dai loro messaggi.   

Mentre meditiamo durante la seconda ondata della pandemia e durante l'avvento, ritorniamo a pensare all’amore, alla cura, alla fraternità, alla solidarietà e alla speranza. "Anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza" (194). Questo messaggio è da intendersi non solo come rivolto ai leader politici, ma a tutti noi, per sfidarci a diventare attori politici guidati dal nostro cuore. 

María Lía Zervino, Servidora, presidente di World Union of Catholic Women’s Organisations

Fratelli tutti – L’amicizia sociale: un nuovo stile di vita

 María Lía Zervino, Servidora, presidente di  World Union of Catholic Women’s Organisations

Il mio paese di origine è l'Argentina. Una nazione segnata dal confronto sociale in vari momenti della sua storia; dalla divisione in due grandi fazioni antagoniste causata da ragioni politiche, ideologiche, economiche, ecc. Anche adesso continuiamo a ferirci a vicenda a causa di una terribile “spaccatura”. Tuttavia, dalle viscere di questo popolo, il Signore ha chiamato uno dei suoi, il cardinale Bergoglio, a guidare, come Pietro, la barca della Chiesa in mezzo alla tempesta globale del Coronavirus e una “terza guerra mondiale a pezzi”. L'enciclica Fratelli tutti nasce dalla sua esperienza pastorale.

Chi viene colpito da una malattia e la supera, in molti casi genera gli anticorpi necessari per affrontare altri episodi simili. Allo stesso modo, sulla base dell'esperienza di Papa Francesco, lo Spirito Santo lo ha ispirato per Fratelli tutti. Quelli di noi che hanno potuto condividere con lui alcuni momenti indimenticabili, nella Conferenza Episcopale Argentina, quando ne era a capo come presidente, conoscono l'amicizia che ha stabilito con i leader locali di altre fedi, come il rabbino Abraham Skorka e il capo musulmano Omar Abboud. Ne è prova la foto dell'abbraccio tra il Papa e i suoi due amici, durante il suo viaggio in Terra Santa, nel 2014.

Bergoglio trascorreva con questi amici le feste più importanti dell'anno liturgico, parlando di tutti i temi, da cuore a cuore. Successe che uno stesso anno morirono il suocero del rabbino e un fratello del cardinale. Gli amici si unirono e parlarono approfonditamente della morte. Così è nato il libro che hanno scritto insieme, Il cielo e la terra. Questo “profumo” di amicizia sociale fu percepito in vari settori della Conferenza Episcopale e ci spinse, in quanto Commissione Nazionale per la Giustizia e la Pace, a collaborare con i leader di dieci diverse tradizioni religiose nel disegno di legge sull'istruzione nazionale che si dibatteva in quel periodo.

Racconto questi fatti, perché per me sono significativi per mostrare quanto sia induttivo il metodo che si riflette nel Magistero del Santo Padre. È vero che, in mezzo alle ombre in cui siamo immersi, il faro di Fratelli tutti, che ci indica la meta della fratellanza umana e dell'amicizia sociale, può sembrare un sogno irraggiungibile. Ma se partiamo dalla realtà di ciascuno, dal basso verso l'alto, dimostreremo che questo grande tesoro dell'enciclica - su cui tutta l'umanità può contare in questo tragico 2020 - è un progetto realizzabile.

Senza trascurare l'attenzione verso il globale e quindi verso la fratellanza/sorellanza umana come causa ultima, vorrei focalizzare la mia riflessione sull'amicizia sociale che, come cordialità locale, è inseparabile dalla dimensione universale e ne costituisce l’autentico lievito. L'apertura all'universale sarebbe falsa se non la costruissimo alimentando il fuoco delle nostre case, della nostra patria, dei vari popoli e delle diverse regioni culturali del mondo. Il modo migliore per evitare di cadere in un nominalismo declamatorio è avviare processi che generano beni relazionali nel proprio ambiente.

Dal punto di vista sociologico, l'amicizia sociale è il bene relazionale per eccellenza. Le risorse relazionali sono intangibili. Consistono in relazioni e generano relazioni caratterizzate da replicabilità, eticità e comunionalità. Sono rapporti in cui si tratta di dare in modo che anche l'altro possa dare, attraverso una reazione corrispondente che può non essere identica a quanto ricevuto. In questa dinamica compaiono risposte dall'altro polo della relazione, che replicano il valore condiviso e che possono avvenire anche lontane nel tempo a vantaggio di altri soggetti diversi.

I beni relazionali si fondano sul riconoscimento reciproco dell'uguale dignità del diverso. Per questo, facilitano la presa in carico del bene dell'altro. Non si consumano quando vengono utilizzati, bensí vengono aumentati. Sono relazioni che potenziano coloro che si relazionano, nella loro integrità come esseri umani. L'amicizia sociale è preziosa perché denota valori etici sociali quali la fiducia, la fedeltà, la corresponsabilità, la cooperazione e perché contribuisce alla cura dei soggetti affini, con l'obiettivo del bene integrale della comunità e dell'ambiente naturale di riferimento.

L'amicizia sociale esige e promuove una partecipazione civica tipica di uno stile di vita diverso da quello a cui molti di noi sono abituati. È il risultato della condivisione di un patrimonio di beni e valori ed evita che qualcuno venga escluso. Questo stile di vita è il fulcro di una cultura dell'incontro. L'“immagine” scattata da un drone sarebbe quella di un'area del pianeta con tantissime reti di incontri in cui ogni persona è riconosciuta con il proprio volto, senza lasciare nessuno isolato. In questo contesto, ogni persona si lega responsabilmente a questo vincolo comunitario, collaborando - dalla sua prospettiva e con le sue risorse - alla promozione della pace e della giustizia.

Utopia? No, se seguiamo la strategia delineata da Papa Francesco in Fratelli tutti. Un requisito fondamentale è il dialogo “perseverante e coraggioso”, aperto alla verità, tra generazioni e membri di un popolo, che porti a una cultura dell'incontro in un paese. Per questo motivo, credo sia conveniente proporre un esame di coscienza sulle azioni necessarie per un dialogo di questa natura, sulla nostra capacità di avvicinarci, guardarci, ascoltarci, cercare di capirci, cercare punti di contatto, per poter coniugare onestamente il verbo: dialogare.

Tuttavia non è facile usare solo la bussola del dialogo aperto e rispettoso, annullando l'abitudine di giudicare e squalificare l'avversario, soprattutto quando la convinzione dell'altro non coincide con la propria. Non possiamo essere ingenui. Dobbiamo essere concreti e considerare intrighi e conflitti, mantenendo il nostro attaccamento alle verità fondamentali e al consiglio evangelico: “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). 

Assumiamo, con la grazia di Dio, la sfida della nostra conversione - oggi “conversione ecologica integrale” -, per offrire una testimonianza coerente in processi di dialogo fecondo. Superiamo le barriere dell'individualismo e dell'indifferenza. Dal nostro posto e dalla nostra missione specifici, affrontiamo un nuovo stile di vita che incoraggi l'amicizia sociale. Donne e uomini, siamo tutti corresponsabili del presente e del futuro immediato dell'umanità. 

Grazie, Papa Francesco, per Fratelli tutti!